Alla fine della sua seconda opera Patronyme [1], pubblicata cinque anni dopo la deflagrazione letteraria e sociale de Il consenso [2], Vanessa Springora rivela di non aver capito fino a quel momento l’aforisma lacaniano “Les non-dupes errent” [3].
Le sarà stato necessario arrivare alla fine di questa storia, indagare instancabilmente per anni sul mistero del suo cognome affinché si potesse finalmente spiegare questa formulazione di Lacan.
Tutto inizia l’8 gennaio 2020. Sta andando in taxi alla registrazione del suo primo programma televisivo, in seguito alla pubblicazione de Il consenso, avvenuta quattro giorni prima. Durante il tragitto viene a sapere, dalla prefettura di Nanterre, della morte del padre che non vedeva da anni. Questo annuncio viene a fare corto circuito con l’uscita del suo primo romanzo autobiografico in cui, oltre a denunciare il dominio sessuale e psicologico sperimentato da adolescente con lo scrittore Gabriel Matzneff, ritrae un padre assente e inadempiente. Un pensiero le si presenta subito: “Mio padre si è ucciso, questo è certo. Ha letto il mio libro e si è suicidato” [4]. Tredici giorni prima, aveva infatti ricevuto un suo messaggio dopo anni di silenzio: “Bene! Ma ci hai messo del tempo per vendicarti! Avresti fatto meglio a darmi ascolto allora! Comunque ben fatto! Sono fiero di te! Patrick.” [5]
La scoperta dell’appartamento di famiglia, una vera Babele in cui il padre si era lasciato morire, e la necessità di svuotarlo smistando gli effetti personali del defunto ma anche quelli dei nonni, mettono ulteriormente l’autrice a confronto con la follia del padre, follia dalla quale si era protetta per così tanto tempo. È allora che scopre, in una scatola nascosta, due fotografie del nonno paterno da giovane, con indosso i distintivi del Terzo Reich. Shock! La leggenda di famiglia è infranta. Questo amato nonno che l’ha cresciuta, presentato come un rifugiato cecoslovacco, eroe fuggito dal nazismo e poi dallo stalinismo, avrebbe così nascosto il suo oscuro passato. Vanessa Springora interroga allora il suo cognome, che le è sempre stato estraneo perché unico e senza alcun omonimo. In che modo Springer, il nome dei suoi antenati dell’Europa orientale, è diventato Springora? Ha inizio una ricerca identitaria ossessiva che la porterà ad attraversare la grande Storia e i totalitarismi dell’inizio del XX secolo, ma anche a ricostruire, non senza ellissi, la vita del nonno che, tramite la falsificazione del nome proprio, ha escluso i suoi discendenti da ogni filiazione e trasmissione. Si fa così luce sulla mitomania e sull’erranza psichica del padre. Vanessa Springora si rivolge a lui alla fine del racconto: “Non hai mai superato la scoperta che il tuo nome era un inganno, una mistificazione destinata a nascondere l’imbarazzante passato di tuo padre. E hai deciso di distruggerlo a tuo modo, rovinando la tua vita e quella delle donne che ti hanno amato e, incidentalmente, anche quella della tua unica figlia.” [6]
Vanessa Springora conclude: “E se si può « farsi un nome », è perché lo si può anche « disfare »” [7]. Senza dubbio, si è fatta un nome, un nome di scrittrice. Questo nome proprio e unico, che non avrà ulteriori discendenti, rimarrà comunque inscritto nell’opera letteraria.
[1] V. Springora, Patronyme, Grasset, Paris 2025.
[2] V. Springora, Il consenso, La nave di Teseo, Milano 2021.
[3] V. Springora, Patronyme, cit., p. 349.
[4] Ivi, p. 25.
[5] Ibidem.
[6] Ivi, p. 350.
[7] Ivi, p. 355.
NdT: le traduzioni delle citazioni sono mie, il libro è inedito in italiano a quanto mi risulta.
Traduzione: Silvia Portesi